sabato 17 agosto 2013

L'apparenza inganna. O se preferite: l'abito non fa il monaco

Spesso siamo condizionati da una realtà che non esiste. Che, veicolata da stereotipi, si insinua nelle nostre menti, facendoci interpretare il mondo con lenti deformanti. 

Ricordo perfettamente l'11 settembre 2001. Ero nella biblioteca di matematica alla Sapienza. Non ero in grado di capire che quella data avrebbe cambiato il mondo per un bel po' di anni. Ricordo la psicosi da attentati nelle metropolitane e nei treni. Ricordo le persone dalle sembianze arabe - non necessariamente arabe e neppure immigrate - fermate per controlli dalla polizia nelle stazioni. La Lega nord che inveiva ancora più di quanto già non facesse contro gli immigrati musulmani.





Non lo sapevamo, ma si stava consolidando una vera bestialità logica: 

alcuni arabi hanno distrutto le Twin Towers  QUINDI  tutti gli arabi sono terroristi  QUINDI bisogna diffidare di tutti coloro che hanno la faccia da arabo

E meno male che l'apparenza inganna! Si trattava invece proprio del contrario: giudicare rispetto all'idea che si ha di una categoria. Più precisamente: per l'immaginario omologante promosso dai media occidentali occorre che a un'identità resti associata una fisionomia che ben la contenga e la esaurisca nei significati. E allora un tunisino con gli occhi azzurri disturba quanto un senegalese biondo, un italiano nero, un cinese che parla italiano senza pronunciare la L al posto della R, un terrone che ha voglia di lavorare senza fare il furbastro.
L'errore è proprio nel concetto di identità: non statica ma dinamica, multipla, sfaccettata, relazionale, sfumata. E vabbè, diciamolo con Bauman: liquida va così di moda! 

In tanti altri campi della vita capita la stessa cosa: siamo abituati a giudicare dalla fisionomia, dall'apparire invece che dall'essere. Da un involucro esterno: dilemma tra forma e sostanza?


Altro problema: siamo portati a classificare. Non capiamo che è più facile incontrare la realtà come ibrida e multiforme, molteplice e mescolata piuttosto che come un'enclave, un'isola antropologica. 


Othman Hachiri

Othman Hachiri non ha nome italiano. E neppure la faccia. Di aspetto potrebbe essere inconfondibilmente tunisino. E invece è italiano per via materna. Nata a Tunisi da una famiglia povera emigrata da Trapani, sua madre non sapeva leggere né scrivere. Faceva la sagrestana alla chiesa della Goulette.
Da un lato i conflitti islamo-cristiani inventati ad hoc da certi boriosi euroamericani - Samuel Huntington e lo scontro di civiltà -, dall'altro quest'uomo di 57 anni vissuto da sempre tra le strade della Goulette



Campagna promozionale della compagnia telefonica Tunisiana alla Goulette.
Sullo sfondo, il campanile della chiesa

Domanda banale? "Othman, lei è musulmano o cristiano?", "Mezzo e mezzo", risponde lui. Insistiamo: "Ma si sentirà un po' più musulmano o un po' più cristiano!", "Mezzo e mezzo". 
E immagino la ripugnanza che può provare un italiano, un euroamericano, a concepirsi metà musulmano e metà cristiano. Incapace, dall'alto della sua presunzione, di scorgere arricchimento laddove vede solo l'insanabile contraddizione.

Nessun commento:

Posta un commento